Lunedì 19 agosto siamo tornati in Italia, dopo l’esperienza vissuta presso la missione di Chipene in Mozambico terra della tribù MACUA. Sono stato fortunato perché ho trovato il giusto gruppo per affrontare questo tipo di impresa: simpatici, intelligenti, grandi lavoratori e bellissime persone dalle grandi sfaccettature.
Siamo stati nella missione di Chipene per aiutare nella costruzione di un Lar; cos’è un “Lar”?
Lar, in portoghese vuol dire "internato", potrebbe essere tradotto con "collegio", in realtà però é ben distante da quello che noi associamo a questo termine. Potremmo dire che è luogo e tempo dedicato alla formazione, in cui la parrocchia si impegna a educare e crescere alcuni giovani, non solo sostenendo l’impegno scolastico ma con una formazione molto più completa e vicina alla vita.
Eppure così é ancora molto approssimativo.
Il termine Lar, però, in portoghese identifica anche il luogo formato da famiglia in quanto agente educante: i genitori educano i propri figli nel “Lar”. Possiamo dire quindi che é una visione di educazione e istruzione a 360 gradi.
Nel nostro piccolo noi volontari ci siamo lanciati e lasciati trasportare da questo termine, anzi questo progetto di futuro. Abbiamo giocato, abbiamo cantato e ballato con i ragazzi e bambini che guardavano i lavori con profondo interesse e ammirazione. Spesso i ragazzi imparando qualche parola in italiano o capendo lo sguardo e il linguaggio dei nostri gesti ci aiutavano nel lavoro con lo spirito di gioco e voglia di imparare che accomuna tutti i bambini.
È stato semplicemente un'esperienza bellissima.
Con profondo entusiasmo tutti i giorni raccontavamo queste nostre esperienze ai nostri missionari Fidei Donum: don Lorenzo e don Loris. Loro con calma ed esperienza ci hanno raccontato alcuni aspetti culturali che ci differenziano. Ci hanno fatto capire che la cosa che ci differenzia maggiormente non é la distanza fisica ma bensì quella temporale. Infatti loro mettono ancora al centro delle loro vite i valori della famiglia, dell'amicizia e le tradizioni, a differenza nostra che spesso li valutiamo un po' vecchi e ci dimentichiamo della loro reale importanza.
Eppure vedere la vita di un missionario non significa provarla e quindi non é sufficiente per spiegare e comprendere fino in fondo la forza interiore che bisogna avere per poter affrontare questo servizio. I missionari sono lontani da casa, lontani da ospedali efficienti (lontani anche sei ore di macchina su strade dissestate), possono essere denigrati e truffati dagli abitanti solo per il colore della pelle (d’altronde il diverso ha sempre spaventato l’uomo e credono spesso che noi siamo economicamente più “ricchi”). Posso dire con certezza però che un missionario deve essere multitasking e in grado di adattarsi ad ogni situazione pratica e interiore, perché comunque deve essere preparato ad ogni evenienza e difficoltà che si presenta.
Due cose mi hanno colpito molto e mi hanno fatto riflettere: la prima é il motto “vakhani vakhani” che tradotto dalla lingua MACUA significa “piano piano”, e la seconda é l'umiltà che hanno nel vivere la loro quotidianità. E allora la domanda che continuamente mi pongo da quando sono tornato é: la frenesia e la routine che viviamo tutti i giorni noi é il vero benessere? Una risposta sicura non la so, ma li a Chipene ci sono molti bambini che hanno veramente poco ma tutti sorridono comunque.
“Nessuno cerchi l'utile proprio, ma quello altrui. Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio.”(1 Cor 10, 24. 31).
Axel Rossetto
giovane missionario in Monzambico
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